Smart working in Italia

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Nel 2024, in Italia, lo smart working rimane un’opzione significativa nelle grandi aziende e anche tra le micro imprese e le startup, ma tra le PMI c’è un ritorno alla tradizione. Tutti i dettagli qui
sotto.

Smart working in Italia, i numeri sono altalenanti.
La panoramica altalenante dello smart working in Italia.

Ci sono 2 domande di base a cui bisogna rispondere per capire come sta andando lo smart working nel nostro paese: 

Chi continua a lavorare in smart working?

Quali sono i trend per il prossimo anno?

Siamo stati abituati a una crescita continua del lavoro agile, ma stavolta i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano ci svelano un panorama un po’ altalenante.

Il lavoro da remoto è ancora forte nelle grandi aziende e sorprendentemente anche nelle microimprese e startup.

Ma tra le PMI c’è un ritorno alla tradizione: meno lavoro da casa e più scrivania.

Nel 2024, il numero degli smart worker è sceso leggermente a 3,5 milioni, una diminuzione dello 0,8% rispetto al 2023, ma si prevede un rimbalzo nel 2025, con una crescita stimata del 5,2%.

E la Pubblica Amministrazione?

La PA italiana si muove in maniera prudente, offrendo qualche apertura al lavoro agile per rispondere al calo di attrattività e ai grandi eventi (come il Giubileo).

Attualmente il 61% delle realtà pubbliche ha iniziative di lavoro flessibile, anche se molti dipendenti sono dovuti tornare in ufficio a tempo pieno.

Interessante notare che, sommando anche il telelavoro, il 70% della PA consente comunque modalità di lavoro smart.

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Lo smart working nelle PMI

Tornando alle PMI, prevale ancora un atteggiamento “prudente” verso lo smart working.

Questo approccio prudente limita le potenzialità del lavoro da remoto, che viene visto come una soluzione temporanea piuttosto che una modalità di lavoro permanente.

Per molte, resta una concessione occasionale, NON UNA VERA SCELTA STRATEGICA.

Solo il 27% dei responsabili in queste imprese sembra appoggiare pienamente il lavoro agile, e

lo vede più come una comodità per specifiche esigenze che come un cambio di paradigma.

Il dibattito sullo smart working in Italia si inserisce in un contesto internazionale caratterizzato da scelte simili e, in alcuni casi, più restrittive.

Negli Stati Uniti alcune grandi tech, come Amazon hanno già richiamato tutti in ufficio.

In Europa, alcune imprese stanno adottando un approccio misto: Deutsche Bank, ad esempio, ha ridotto il lavoro da remoto al 40%, mentre Ubisoft ha stabilito un equilibrio tra giorni in ufficio e da casa.

Queste scelte indicano che, anche a livello internazionale, si cerca un compromesso tra flessibilità e necessità operative.

L’umore dei lavoratori

In tutto questo la domanda fondamentale è cosa vogliono i lavoratori?

Sondando i loro umori, emerge che il ritorno in presenza non è accolto a braccia aperte.

Tra chi lavora in parte da remoto, un sondaggio del Politecnico ha mostrato che

il 73% reagirebbe male a un ritorno forzato in ufficio,

e il 27% potrebbe addirittura considerare di cambiare azienda.

I lavoratori sono disposti a rinunciare al lavoro da casa solo se compensati con maggiore flessibilità oraria o aumenti di stipendio.

Dunque, la strada dello smart working in Italia è tutt’altro che lineare.

La tendenza è quella di trovare un equilibrio che permetta flessibilità, produttività e inclusività.

Speriamo che nel tempo le aziende italiane sappiano bilanciare le necessità del business con quelle dei dipendenti, specialmente per migliorare il work-life balance e attrarre nuovi talenti in un mercato in continua evoluzione.

Noi come sempre rimaniamo a disposizione, sia per chiarire ogni dubbio sia per tenervi costantemente aggiornati.

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