Smart working causa COVID con distacco all’estero…come procedere?

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Dall’Agenzia delle Entrate ci arrivano nuove precisazioni su quella che è la tassazione applicabile ai lavoratori transfrontalieri bloccati in Italia a causa della pandemia. I dettagli sullo smart working.

Lo smart working per i transfrontalieri bloccati in Italia
Lo smart working per i transfrontalieri bloccati in Italia

Per quanto riguarda la residenza fiscale e il luogo di produzione del reddito dei lavoratori distaccati all’estero, attualmente occupati in modalità agile in Italia, l’Agenzia è molto chiara: vengono accettate le regole OCSE per cause Covid solo per quei Paesi con i quali siano stati firmati degli accordi bilaterali.

Nelle risposte n. 345 del 17 maggio 2021 e n.458 del 7 luglio 2021 si riafferma il parere negativo ad eventuali applicazioni agevolative sulla tassazione dei lavoratori dipendenti.

Ma vediamo nel dettaglio due casistiche particolari, una riguardante i rapporti dell’Italia con un Paese UE l’altra pertinente un Paese Extra UE.

Smart working: le casistiche

Caso #1:

Il caso riportato nella prima risposta (n. 345/2021) riguarda un lavoratore transfrontaliero, fiscalmente residente in Italia che svolge la propria attività lavorativa in Francia.

A causa del Covid è stato costretto a lavorare in smart working nel suo Paese d’origine, in Italia per l’appunto, diversamente da quanto previsto dal contratto.

Quali sono dunque gli obblighi relativi alla tassazione?

Caso #2:

La seconda storia riguarda invece una società che chiede l’applicazione delle regole OCSE per alcuni dipendenti italiani tornati dalla Cina a causa della pandemia e per questa ragione trattenuti in Italia per continuare a lavorare in smart working.

Viene specificato che alcune di queste persone avevano trascorso meno di 184 giorni, altri di più.

Le domande poste all’Agenzia sono le seguenti:

  1. il compenso per i lavoratori che hanno trascorso meno di 184 giorni in Italia come va considerato? Assoggettabile a imposizione italiana o cinese?

coloro che invece hanno avuto una permanenza superiore ai 184 giorni, occorre considerare il reddito di fonte estera con applicazione delle imposte estere?

Soluzione al caso #1:

L’Agenzia inserisce questo caso tra quelli concernenti l’accordo amichevole Italia/Francia e impedisce l’applicazione delle norme convenzionali per la determinazione del reddito.

La motivazione sta nel mancato requisito di permanenza all’estero di 183 giorni da parte del lavoratore.

Una soluzione contrastante appare rispetto agli accordi esistenti sulla disciplina del lavoro.

Soluzione al caso #2:

Come già visto nell’esito del caso n. 345, anche qui l’Agenzia risponde in maniera piuttosto articolata andando in disaccordo con l’Istante.

Per rispondere al quesito posto si riprende in mano la nota del Segretariato dell’Ocse del 3 aprile 2020 aggiornata il 21 gennaio 2021 concernente l’impatto delle misure sanitarie restrittive sui Trattati internazionali e la tassazione dei redditi da lavoro:

  • “il punto di partenza di tale analisi è la constatazione che, ai fini dell’applicazione delle Pagina 9 di 15 disposizioni contenute nell’articolo 15 del modello di Convenzione OCSE, l’attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro a fronte del quale gli è corrisposto il reddito”.

Fanno eccezione l’Austria, la Svizzera e la Francia con i quali esistono specifici accordi per evitare le doppie imposizioni, dove l’incidenza della mobilità dei lavoratori è piuttosto significativa.

In questo caso specifico occorre valutare le disposizioni dell’ordinamento italiano con il Governo cinese in ambito fiscale.

La conclusione al dubbio proposto viene risolto dall’Agenzia nel modo seguente:

  • per i lavoratori che hanno risieduto in Italia per un periodo inferiore ai 184 giorni l’onere delle tasse risulterebbe imponibile in entrambi gli Stati per cui questa doppia imposizione dovrebbe essere risolta riconoscendo un credito d’imposta per conto della Cina;
  • per coloro che invece hanno soggiornato in Italia per più di 184 giorni prevarranno comunque i criteri di “abitazione permanente, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.
    Ciò posto, si osserva come una persona fisica iscritta all’AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell’emergenza Covid potrebbe essere considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne, in quanto risulterebbe avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d’imposta. Qualora si verificasse un conflitto di residenza con lo Stato estero, questo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai citati criteri convenzionali.
    ”.

A questo punto sembra che indirettamente l’Agenzia ponga l’accento sulla necessità di intervenire a livello normativo sui criteri di determinazione della residenza fiscale imposte dalla pandemia, in modo da risolvere l’ambito di applicazione dei suggerimenti dell’OCSE.

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